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Sesso biologico e genere

È doveroso iniziare spiegando la differenza tra due termini che spesso vengono confusi o considerati sinonimi: quello di “sesso biologico” e di “genere”. Se il primo rimanda alla natura biologica di maschio o femmina, il secondo fa riferimento alla personale identificazione nel maschile o nel femminile, o in entrambi, o in nessuno. Si riferisce, quindi, a qualità o caratteristiche che la società attribuisce a ciascun sesso attraverso la conformità a norme e ruoli sociali.

Il termine “genere” è stato introdotto per la prima volta nel 1955 dal sessuologo John Money ma bisognerà attendere il 1970 per la sua diffusione, grazie alla nascita delle teorie femministe. Secondo la teoria del genere, le persone nascono maschio o femmina ma solo successivamente imparano a essere uomini, donne o entrambi.

Il modo in cui viene percepito il “genere” è influenzato da fattori sociali e culturali che non solo sono profondamente radicati in ognuno di noi, ma possono mutare nel tempo. La Convenzione di Istanbul nel 2011 ha definito con il termine “genere” tutto l’insieme di “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”.

Stereotipi e violenza di genere

Gli attori sociali che contribuiscono a sviluppare credenze errate sul genere sono rappresentate dalla famiglia, il gruppo dei pari, le istituzioni e i mass media. Questi nel tempo hanno creato dei veri e propri stereotipi di genere che ancora oggi attribuiscono all’uomo caratteristiche come la potenza, la dominanza, la sicurezza, l’aggressività e la mancata esternazione delle emozioni; mentre la donna viene percepita come debole, dipendente, sensibile, dedita al marito e ai figli. Coloro i quali non rispecchiano questi stereotipi vanno incontro a un pregiudizio che nel peggiore dei casi si conclude con una discriminazione. È per questo che con l’espressione “violenza di genere” si indicano tutte quelle forme di abuso che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso.
Seppure negli ultimi anni le violenze contro la donna si sono ridotte del 2%, non è possibile stabilire se la diminuzione sia conseguenza della maggiore informazione e del lavoro sul campo, di una migliorata capacità delle donne di prevenire e combattere il fenomeno o se, purtroppo, si sia trattato di un minor ricorso alla denuncia. A oggi, infatti, risulta che soltanto circa il 35% delle donne che hanno subìto violenza fisica o sessuale nel corso della vita ritiene di essere vittima di un reato. Infatti, dall’ultima indagine Istat disponibile del 2015 (su dati del 2014) si rileva che sono circa 7 milioni le donne che nel corso della propria vita hanno subìto una qualche forma di violenza (fisica, sessuale o psicologica, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà). Sono 652 mila le donne che hanno subìto stupri e 746 mila le vittime di tentati stupri perpetrati maggiormente da partner attuali che da ex partner.

L’Istat il 25 novembre 2019, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, presenta per la prima volta i dati dell’indagine: “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale”, i più comuni sono:

“Per l’uomo, più che per la donna è molto importante avere successo nel lavoro” (32,5%)
“Gli uomini sono meno adatti ad occuparsi delle faccende domestiche” (31,5%)
“È soprattutto l’uomo che deve provvedere alle necessità economiche della famiglia (27,9%)
“In condizioni di scarsità di lavoro, i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli uomini rispetto alle donne” (16,1%)
“È l’uomo che deve prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia” (8,8%)

“Alla domanda sul perché alcuni uomini sono violenti con le proprie compagne/mogli, il 77,7% degli intervistati risponde perché le donne sono considerate oggetti di proprietà (84,9% donne e 70,4% uomini), il 75,5% perché fanno abuso di sostanze stupefacenti o di alcol e un altro 75% per il bisogno degli uomini di sentirsi superiori alla propria compagna/moglie” (Istat, 2019).

Questi dati sono lo specchio di un Paese ancora incatenato a vecchi stereotipi sul genere, culturalmente radicati e difficili da cancellare. La violenza sulle donne, infatti, rimane ancora nel 2020 un fenomeno di portata mondiale definito dall’ OMS come uno dei principali problemi di salute pubblica.
La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata ad Istanbul l’11 Maggio 2011, ha definito la violenza contro le donne come una grave violazione dei diritti umani.

Tipologie di violenza

Esistono diversi i modi con cui si può esperire una violenza, tutti possono avere conseguenze psicologiche e fisiche importanti. Le principali tipologie di violenza sono:

Violenza Fisica. È la forma di violenza più riconoscibile in quanto visibile e coinvolge l’uso della forza contro le vittime con conseguenti lesioni. Le azioni violente comprendono calci, pugni, spintoni, il sovrastare fisicamente, costringere nei movimenti e rompere oggetti come forma d’intimidazione, sputare contro, mordere, picchiare, soffocare, schiaffeggiare, minacciare con e/o usare armi da fuoco o da taglio e privare il soggetto di cure mediche. Si parla di abuso fisico anche quando l’abusante ha percosso un paio di volte la partner causando lievi ferite che non necessariamente richiedono una visita in ospedale.
Le vittime di violenza fisica registrate in Italia da Gennaio 2013 a Settembre 2019 sono state in totale 30.249 (Istat, 2019).

Violenza Emotiva. La violenza emotiva è causata da persistenti insulti, umiliazioni e/o critiche che nel tempo possono distruggere il valore che la persona ha di sé. L’abuso emotivo è un tipo particolare di violenza per molte donne difficile da capire e da denunciare dal momento che si mantiene in superficie e non ci sono segnali fisici della sua azione. Ma le ferite, anche se non si vedono, sono profonde e minano la stima che la donna ha di se stessa. La violenza emotiva è infine associata ad altri tipi di abusi (fisico, psicologico, economico o sessuale) e spesso precede la violenza fisica.

Violenza Psicologica. Con violenza psicologica s’intende l’insieme di intimidazioni, minacce o comportamenti che incutono paura e che perseverano nel tempo. A differenza dell’abuso emotivo che mina il valore della donna, la violenza psicologica ha come strumento elettivo la paura e compromette anche la percezione di sicurezza che la donna ripone in sé e negli altri. Alcuni esempi di abuso psicologico sono: evitare che la vittima parli con altre persone se non sotto il permesso dell’abusante, non consentire alla vittima di lasciare l’appartamento, minacciare o ricattare la vittima di violenza quando è in disaccordo con il partner abusante, ecc. Sia la violenza emotiva che quella psicologica non sono da sole una condizione sufficiente per condurre ad azioni di violenza fisica, anche se spesso le precedono. Inoltre, la perdita del valore di sé unito alla paura del proprio partner e di rompere questo silenzio, rappresentano essi stessi una grave ferita.
Le vittime di Violenza Psicologica registrate in Italia da Gennaio 2013 a Settembre 2019 sono state in totale 23.410 (Istat, 2019).

Violenza Sessuale. L’abuso sessuale comprende lo stupro, le molestie, i contatti fisici non graditi e altri comportamenti umilianti ed è definita come qualsiasi situazione nella quale la donna si sente costretta a partecipare a un rapporto sessuale non voluto o percepito come degradante per la sua persona. Si è vittime di abusi sessuali, anche se si è state costrette ad avere rapporti non protetti o ad abortire: quest’ultima forma di abuso è conosciuta come coercizione riproduttiva. L’abuso sessuale è frequente nelle relazioni violente nelle quali la donna perderebbe la libertà di esprimere il diritto di rifiutarsi e danneggia profondamente il valore di sé, la fiducia e il senso di sicurezza a causa del livello prolungato di paura al quale si espone. Per approfondimenti clicca qui.
Le vittime di Violenza Sessuale registrate in Italia da Gennaio 2013 a Settembre 2019 sono state in totale 2.558 (Istat, 2019).

Violenza Economica. Tra i tipi di violenza di genere, l’abuso economico è forse il meno ovvio e conosciuto. Può assumere diverse forme: ad esempio il partner potrebbe impedire la formazione o l’impegno lavorativo della compagna. L’abuso economico è molto comune in quelle famiglie in cui c’è un unico partner che gestisce le entrate e le uscite economiche o quando più semplicemente solo uno dei due lavora e l’altro è in una condizione di dipendenza forzata. Non avendo accesso al denaro se non tramite il partner violento, la vittima si sente completamente in balìa dell’abusante. Questi, infine, potrebbe rifiutare di fornire soldi anche per acquistare i beni di prima necessità o altro ancora. L’abuso economico fa sentire la donna fallita e dipendente e, come le altre forme di abuso, mina il suo valore personale aumentando contemporaneamente l’erronea convinzione di avere bisogno del partner per sopravvivere poiché si ritiene priva delle risorse economiche e delle abilità per fronteggiare la vita.
Le vittime di Violenza Economica registrate in Italia da Gennaio 2013 a Settembre 2019 sono state in totale 1.118 (Istat, 2019).

Stalking. È una forma di violenza che si contraddistingue per una condotta a carattere persecutorio e si manifesta attraverso molestie e minacce dirette alla persona e attuate, ad esempio, mediante pedinamenti, messaggi, telefonate. Tali azioni hanno l’obiettivo di danneggiare o diffamare la vittima.
Nell’anno 2014 in Italia il 21,5% delle donne fra i 16 e i 70 anni (pari a 2 milioni 151 mila) hanno subìto atti persecutori da parte di un ex partner nell’arco della propria vita, mentre il 10,3% delle donne dichiara di aver subìto stalking da parte di altre persone.

Violenza Assistita. Qualsiasi atto di abuso (fisico, psicologico, emotivo, sessuale o economico) a cui assistono direttamente come testimoni o indirettamente, altre figure adulte o minori che siano significative per la vittima. Questo tipo di violenza è un fenomeno purtroppo sottovalutato sebbene l’esposizione a episodi di abuso danneggi seriamente il benessere psico-fisico e le abilità d’interazione sociale del minore e dell’adulto. Al momento manca un sistema d’intervento e una normativa chiara in materia per la presa in carico e la tutela coordinata della donna vittima di violenza e dei testimoni degli abusi. Tale vuoto legislativo può far percepire questo tipo di violenza come meno preoccupante sebbene gli effetti sulla donna e sui testimoni rappresentino un grave danno come avviene per le altre forme di abuso.

I dati sulla Violenza Assistita dai figli, registrate in Italia da Gennaio 2013 a Settembre 2019, sono in totale 23.910 (Istat, 2019).

Le forme di violenza che in Italia, da Gennaio 2013 a Settembre 2019, hanno mostrato una percentuale più elevata sono quella Fisica (49,1 %) e quella Psicologica (38,0 %).

Il ciclo della violenza

La violenza di genere spesso si caratterizza per un’escalation di comportamenti che vanno da iniziali minacce e abusi verbali fino alla violenza agita, di tipo fisico e/o sessuale. Mentre il danno fisico può essere considerato il pericolo più evidente e immediato, le conseguenze emotive e psicologiche della violenza di genere sono altrettanto gravi e non vanno sottovalutate. Molte donne che subiscono gli abusi di un partner violento raccontano una dinamica divisa in tre differenti fasi.


(Walker Lenore, 1996)

Fase 1. Costruzione della tensione. In questa fase, il partner può essere estremante critico, irascibile ed esigente. La donna prova a tenere sotto controllo la situazione tentando di calmare il partner o evitando di dire o mettere in atto azioni che potrebbero sollecitare la sua ira. Molte donne affermano di sentirsi come se “camminassero sulle uova”. Con l’aumento della tensione, i tentativi della donna possono perdere di efficacia mentre subentrano le minacce dirette o implicite da parte del partner accompagnate, ad esempio, da comportamenti scontrosi e silenzi ostili. Questo potrebbe già essere il momento giusto per chiedere un aiuto esterno, ad amici, familiari e/o professionisti (psicologi, forze dell’ordine, centri antiviolenza…).

Fase 2. Esplosione della violenza. In questa fase il partner abusante perde il controllo e mette in atto il comportamento violento. L’azione può cominciare con insulti e minacce alle quali può seguire la violenza fisica: spinte, braccia torte, per poi arrivare a schiaffi, pugni e calci fino alla minaccia con oggetti contundenti o armi, o all’effettivo uso di questi. Al fine di segnare ulteriormente il proprio potere, l’abusante potrebbe ricorrere alla violenza sessuale. Infine, in seguito all’esplosione della rabbia, è possibile che provi una sensazione di rilascio della tensione della quale può divenire dipendente.
Questo meccanismo rafforza il ripetersi del comportamento violento.
La donna in questa fase si sente completamente impotente nel controllare l’escalation della violenza del partner e potrebbe decidere di non reagire per paura. Dopo l’iniziale shock, può sentirsi responsabile della reazione violenta, come descritto nella successiva sottofase “scarico di responsabilità”, ed è possibile che neghi l’accaduto o minimizzi la sua gravità, rifiutandosi di rivolgersi alle autorità competenti per denunciare la violenza e i maltrattamenti o ritirando la denuncia qualora fosse partita.

Fase 3. La luna di miele. Questa fase si divide in due sottofasi:

a) Colpa e Scuse. Dopo l’episodio di violenza, l’abusante potrebbe inizialmente sentirsi in colpa e chiedere scusa per il suo comportamento. In realtà è molto più preoccupato per se stesso e per la sua immagine. Sarà comunque amorevole, attento e mostrerà rimorso per la sua azione, chiederà perdono e prometterà di non farlo mai più, magari di andare in terapia e di fare di tutto per cambiare affinché la donna non si separi da lui, minacciando talvolta anche il suicidio.
b) Scarico di responsabilità. È molto comune che l’abusante si presenti con fiori o doni che sancirebbero il miglioramento avvenuto e la promessa di rinunciare a qualsiasi elemento “esterno a se stesso” in grado di instillare la tensione – come il bere, il lavorare troppo, una relazione extra-coniugale, la situazione economica, lo stress eccessivo, ecc. – tutti fattori che entrambi vorrebbero credere essere la “causa effettiva” dell’esplosione. Inoltre accade spesso che giustifichi la sua reazione attribuendo la responsabilità del suo comportamento alla donna che in qualche modo l’avrebbe provocato (Walker, 1996).
La fase della luna di miele è paragonabile a una trappola che inganna e incatena la vittima: la donna potrebbe interpretare il comportamento pentito dell’abusante come una promessa di un cambiamento imminente o come un ritorno al periodo felice dell’innamoramento, quando mai avrebbe immaginato di avere a che fare con un partner violento. Durante questa fase, la vittima spesso vede il proprio compagno come solo, bisognoso, disperato e ritiene di essere l’unica che può aiutarlo e salvarlo.
Nelle relazioni violente, questo ciclo si ripete ininterrottamente crescendo d’intensità e pericolosità. Col procedere della relazione la donna è sempre più in pericolo, la fase luna di miele diviene più breve mentre le altre due aumentano in frequenza e gravità e, se non interrotte in tempo, possono, in casi estremi, condurre a gravi danni per la donna fino alla morte.
Nonostante questo, molte donne ancora decidono di non denunciare e di ritornare dal partner violento. Questo accade anche perché le vittime ritengono erroneamente che la situazione possa cambiare, che è stata colpa loro, che è ancora tutto sotto il loro controllo e che se faranno maggiore attenzione la prossima volta non succederà.
Nessuno, invece, dovrebbe sopportare questo tipo di dolore. Se hai riconosciuto di essere in una relazione violenta chiedi aiuto.

Violenza nella coppia: come riconoscerla?

Partendo dall’assunto che la violenza di genere è un reato, prenderne consapevolezza e riconoscere i segnali di un rapporto violento è il primo passo per porvi fine.

Si è in una relazione violenta quando uno dei due partner domina e/o controlla l’altra persona. Abbiamo visto che gli strumenti psicologici dell’abusante sono l’intimidazione e lo scarico di responsabilità che possono originare nella vittima emozioni come paura, colpa e vergogna.

Se nella tua relazione si ripropone la dinamica descritta nelle tre fasi del ciclo della violenza, anche se questa inizialmente è agita soltanto mediante minacce, dirette o velate, sappi che può in seguito degenerare in azioni fisiche a danno della donna e/o di coloro che la circondano, con conseguenze la cui gravità varia fino a minare l’integrità fisica e psicologica della vittima. Il Femminicidio rappresenta la peggiore e la più temuta delle ipotesi possibili.

È molto probabile che troverai vere alcune delle seguenti affermazioni:

  • Hai paura del tuo partner per la maggior parte del tempo
  • Eviti di dire o fare qualcosa per paura della reazione del tuo partner
  • Ti senti sempre sbagliata verso il tuo partner
  • Credi di meritare di essere ferita o maltrattata
  • Pensi di essere pazza
  • Ti senti impotente

Il tuo partner:

  • Urla contro di te
  • Ti critica e umilia
  • Ti tratta così male che sei in imbarazzo di fronte ad amici o familiari
  • Ignora o denigra le tue opinioni o successi
  • Ti incolpa del suo comportamento violento
  • Ti vede come una proprietà o un oggetto sessuale, piuttosto che come una persona
  • È spesso di malumore e imprevedibile
  • Ti fa del male o minaccia di ferirti o ucciderti
  • Minaccia di prendersi i vostri bambini o far loro del male
  • Minaccia di suicidarsi se lo lasci
  • Ti costringe a fare sesso
  • Distrugge i tuoi oggetti personali
  • È eccessivamente geloso e possessivo
  • Controlla dove vai o cosa fai
  • Ti impedisce di vedere i tuoi amici o la famiglia
  • Limita il tuo accesso al denaro, al telefono e alla macchina
  • Ti controlla continuamente

Le varie forme con cui può manifestarsi la violenza di genere, possono mettere in pericolo la vita della vittime che la subisce. Nessuno dovrebbe sopportare questo tipo di dolore. Se hai riconosciuto di essere in una relazione violenta chiedi aiuto perché esiste una rete attiva e di supporto per te.

Fattori di rischio, precipitanti e di mantenimento

Gli studi finora effettuali sulla violenza di genere, hanno individuato alcuni fattori di rischio, precipitanti e di mantenimento della violenza (Huecker & Smock, 2020). I fattori di rischio nella violenza di genere includono aspetti individuali, relazionali e sociali.
Esiste una correlazione tra bassi livelli di istruzione e un’alta percentuale di violenza domestica.
I soggetti che hanno subìto un abuso infantile hanno più probabilità di macchiarsi del reato di violenza di genere in età adulta; i bambini che sono stati vittime o hanno assistito ad atti di violenza domestica, crescendo tenderanno più facilmente a sviluppare l’errata credenza che la violenza sia un modo ragionevole per risolvere un conflitto. Più dettagliatamente i bambini maschi possono apprendere che le donne non sono ugualmente rispettate, pertanto avranno maggiori probabilità di abusare del sesso femminile in età adulta. Dunque anche gli stereotipi e i pregiudizi legati al genere possono diventare un fattore di rischio. A loro volta le bambine femmine che assistono alla violenza domestica avranno maggiori probabilità di essere vittime dei loro partner da adulte. Tutti questi fattori di rischio che sono da ricondurre al personale vissuto dell’individuo, uniti ai fattori precipitanti e di mantenimento, possono scatenare e mantenere costanti nel tempo gli atti violenti.

I fattori precipitanti rappresentano tutte quelle caratteristiche che portano l’abusante a determinare azioni violente:

  • Eventi stressanti come, ad esempio, un eccessivo carico di lavoro oppure uno stato di disoccupazione
  • Condizione socio-economica della vittima e dell’abusante
  • Comportamento antisociale e/o delinquenziale al di fuori della famiglia
  • Abuso di alcool e droghe che aumenta notevolmente l’incidenza della violenza domestica
  • Conflitti coniugali: la mancanza di comunicazione efficace all’interno della coppia predispone a un rischio maggiore di maltrattamenti

I fattori di mantenimento della violenza hanno maggiori ripercussioni sulle vittime.
Il partner violento, infatti, tende a mettere in atto:

  • Possessività, gelosia e sospettosità
  • Tratti paranoici
  • Tendenza al controllo familiare (incluse le attività finanziarie e sociali)
  • Bassa autostima
  • Dipendenza affettiva patologica (in entrambi i partner, ma soprattutto nell’aggressore)
  • Intimidazioni e minacce per spaventare la vittima;
  • Isolamento sociale per evitare che richieda aiuto o denunci le violenze subite,
  • Svalorizzazione della vittima finalizzata alla dipendenza dal partner

Ogni qualvolta il ciclo della violenza si ripete, questo crea nella vittima ciò che Seligman (1975) chiama “impotenza appresa”, ossia la vittima apprende che qualsiasi cosa faccia non potrà evitare gli abusi. Pertanto subirà passivamente le violenze sentendosi ormai arresa e impotente (Walker, 1979). Questo fa sì che la vittima non chieda aiuto alla rete di supporto sociale, ma piuttosto mantenga le dinamiche d’abuso.

Tutti questi fattori ci indicano che chi agisce abusi e violenze in base al genere acquisisce spesso questi comportamenti dalla famiglia, dalla società e dalla cultura di appartenenza.

Riferimenti bibliografici

  • Huecker, M. R., & Smock, W. (2020). Domestic Violence. In StatPearls. StatPearls Publishing.
  • Seligman Martin.E.P., (1975). Helplessness: On Depression, Development and Death, Freeman, San Francisco.
  • Walker L. , (1979) The Battered Women. Harper and Row, New York.
  • Walker L., (1996), Abused Women and Survivor Therapy, American Psycological Association, Washington D.C.

Sitografia

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