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Il trauma e Thich Nhat Hanh

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Anche Thich Nhat Hanh, monaco buddhista e poeta, ci aiuta a capire meglio il trauma.

 

Ognuno di noi ha una coscienza deposito, una sorta di sala cinematografica dei film del passato, in cui immagazziniamo i ricordi di traumi e di sofferenze passate. In teoria noi tutti sappiamo che il passato è passato, ma le immagini di quei traumi già finiti permangono e di tanto in tanto si ripresentano, sia in sogno che da svegli, e così soffriamo ancora. Abbiamo tutti la tendenza a rimanere imprigionati nel tempo trascorso. In teoria, sappiamo tutti che quel passato non c’è più, che i nostri ricordi sono soltanto un film, ma il film, a dispetto di qualsiasi nostra volontà, continua a essere proiettato e, ogni volta che questo accade, soffriamo di nuovo.

Supponiamo ora di essere al cinema; seduti sulla nostra poltrona mentre guardiamo il film ci immedesimiamo a tal punto da credere che sia una storia vera. Potremmo persino piangere. La sofferenza è reale, le lacrime pure. Ma l’esperienza proiettata che si sta verificando proprio ora è solo finzione.  Se saliamo vicino allo schermo e lo tocchiamo, non c’è nessuno, c’è solo una luce cangiante. Non possiamo parlare ai personaggi del film, non possiamo invitarli a bere un the con noi, perché sono parte di una storia immaginaria, di qualcosa di irreale. Eppure, a volte, al cinema soffriamo e ci deprimiamo realmente.

È molto importante comprendere che il bambino interiore, o la bambina, è ancora qui, prigioniero del passato e dobbiamo soccorrerlo. Come? Sediamoci sicuri, rimaniamo nel momento presente e diciamo loro: <mio caro fratellino, mia cara sorellina, dovresti sapere che siamo cresciuti. Possiamo proteggerci e difenderci ora”.

Riferimenti

  • Thich Nhat Hanh (2010). Reconciliation. Healing the inner child. Parallax Press
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