LA TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE
In taluni momenti della vita, si può avere la sensazione di essere completamente sopraffatti dalle emozioni dolorose, dalla fatica o dalla sofferenza che sopraggiunge ogni volta che incontriamo certe esperienze. Tali emozioni negative possono indurci a fare un passo indietro o ad adottare comportamenti disfunzionali. Ritrarci progressivamente da tutto quello che induce sofferenza è naturale, ma se il ritiro diviene l’unica soluzione si rischia di restare impigliati nell’immobilità e nella sensazione castrante del tempo che sfugge. Reagire con comportamenti disfunzionali ci fa sentire fuori controllo. Non tutto quello che sembra proteggerci o aiutarci, che ci richiude in un nido apparente, è di fatto risanante e risolutivo.
Talvolta occorre chiedere aiuto.
La Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) è un approccio di trattamento orientato al cambiamento dei pensieri, emozioni e comportamenti disfunzionali. Il focus dell’intervento è il modo in cui le persone pensano (funzionamento cognitivo), provano emozioni e sensazioni fisiche e agiscono (comportamento). L’obiettivo centrale della TCC è modificare pensieri, opinioni, regole e credenze profonde affinché diventino più realistiche e funzionali. Non sono, infatti, gli eventi in sé a provocare ciò che sentiamo, sia in termini di emozioni che di reazioni fisiologiche, o ciò che facciamo (comportamento), ma piuttosto il modo in cui li vediamo e gestiamo attraverso i nostri pensieri.
La TCC si sofferma molto sulla storia di vita degli individui, visto che è proprio nell’infanzia e nell’adolescenza che si formano sia le credenze intermedie sia quelle più profonde su di sé, gli altri e il mondo (schemi). Questi due livelli di pensiero andranno a incidere enormemente sui pensieri più superficiali con cui si interpretano le situazioni nel momento presente.
Come potete vedere dallo schema sottostante, esistono, infatti, tre livelli di pensieri e la TCC agisce su tutti e tre.
Esaminando attentamente e da vicino il modo in cui pensiamo e interpretiamo gli eventi possiamo acquisire, attraverso un’ampia gamma di tecniche, la capacità di modificare i nostri pensieri superficiali, intermedi e profondi. In questo modo, potremo interpretare la realtà in maniera più oggettiva e migliorare il nostro “dialogo interno”. Anche la Mindfulness, e le terapie Mindfulness-Based (ACT, CFT) sono parte integrante della Terapia Cognitivo Comportamentale. Esse aiutano il paziente a osservare in maniera non giudicante e ad accettare le proprie esperienze interne senza valutarle o cercare di modificarle (Beck, p. 271). Ciò significa, di fatto, poter tirare il fiato: la freschezza che le pratiche Mindfulness-based portano nella vita del singolo permette di incontrare il passato e il presente con benevolenza e disponibilità, al fine di aprirsi profondamente all’esperienza del “qui e ora”. Un “qui e ora” liberato dall’ingombro della colpa, della vergogna, della rimembranza, dell’afflizione: come potessimo svuotare uno zaino pesante, zeppo di oggetti vecchi che vanno abbandonati se vogliamo proseguire il cammino.
Nella TCC, rispetto ad altri approcci terapeutici, le sessioni sono molto più strutturate, cucite sul paziente e orientate al raggiungimento degli obiettivi concordati in modo collaborativo. E’ stata dimostrata l’efficacia dei protocolli di TCC nel trattamento del PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder – Disturbo da Stress Post-Traumatico) in vittime con storia di trauma, tra cui anche neglect e abuso sessuale. Vi è un’evidence-based della TCC anche in storie traumatiche complesse (Resick et al., 2003, 2012), dimostrando la sua efficacia anche a lungo termine, in un follow up a 6 anni. La TCC centrata sul trauma, infine, ha prodotto degli effetti comparabili a quelli ottenuti con l’utilizzo della tecnica EMDR (Shapiro, 2012). La TCC inoltre è efficace per moltissimi disturbi solitamente in comorbidità con il trauma, in particolar modo disturbi d’ansia, depressione, disturbi somatoformi, bulimia, insonnia, problemi associati al controllo degli impulsi e della rabbia e allo stress in generale (Hofmann et al., 2012).
Sono stati sviluppati degli interventi di TCC per il trauma, rivolti alle persone con sintomi riconducibili al PTSD semplice. Tuttavia, questi approcci possono essere inseriti all’interno del più ampio e articolato intervento per persone con PTSD complesso. Anche per questo quadro sintomatologico più eterogeneo, infatti, la TCC è certamente indicata per la fase di psicoeducazione e stabilizzazione dei sintomi (fase I) ma, aiutando la persona a confrontarsi con la memoria traumatica con diverse tecniche, anche per la fase di rielaborazione del ricordo traumatico (fase II) . Uno dei protocolli TCC più evidence-based (Peterson et al., 2019) rivolti a persone con PTSD è quello messo a punto da Edna Foa e collaboratori che si chiama Esposizione Prolungata. Il protocollo aiuta la persona ad affrontare le memorie traumatiche e le situazioni a esse associate attraverso la tecnica dell’esposizione. Uno degli obiettivi è interrompere gli evitamenti che, se da una parte consentono di ridurre l’ansia a breve termine, dall’altra la alimentano e la mantengono a lungo termine. Durante l’esposizione il sopravvissuto si confronta con situazioni (come, ad esempio, il luogo in cui si è verificato l’evento traumatico) evitate per non innescare i sintomi (come i flashback e la dissociazione) e le emozioni dolorose. Con le esposizioni immaginative il sopravvissuto si confronta, in sicurezza, con il ricordo dell’evento traumatico. Durante l’esposizione immaginativa si chiede di identificare l’evento traumatico. Successivamente il paziente deve chiudere gli occhi e descriverlo con più dettagli possibili. Nella narrazione, infatti, si chiede di specificare suoni, odori, elementi visivi, pensieri ed emozioni. A questo punto si identifica l’inizio e la fine della narrazione. Si chiede poi al paziente di ripeterla da capo fino alla fine. In una seconda fase vengono presi in considerazione solo gli hot spots (i momenti peggiori dell’evento) che verranno narrati più volte nei dettagli fino a quando i livelli di sofferenza non diminuiranno. Questo consente di processare la memoria traumatica, che viene narrata focalizzandosi sulle reazioni fisiche, i pensieri e le emozioni. Un altro modello di TCC di comprovata efficacia nel trattamento del trauma è quello di Ehlers e Clark, secondo i quali il PTSD è un “disturbo della memoria”, perché le persone sperimentano paura e ansia nel momento presente a causa di un evento che è avvenuto nel passato. Questo trattamento pone maggiore enfasi sul cambiamento delle strategie cognitive e comportamentali di mantenimento dei sintomi, come la ruminazione, il rimuginio, l’ipervigilanza, i comportamenti protettivi e la dissociazione. Vengono presi in considerazione gli effetti che l’evento ha avuto sui pensieri e sulle credenze che la persona ha sviluppato su sé, gli altri e il mondo, considerando i seguenti temi: sicurezza, fiducia, forza/competenza, stima e intimità. Nel protocollo è prevista la fase di elaborazione del ricordo traumatico e di esposizione immaginativa, in cui il ricordo traumatico viene organizzato e completato, vengono identificati e ristrutturati gli hot spots, si interviene sui pensieri che mantengono emozioni di colpa, vergogna, rabbia e sui comportamenti di evitamento. Inoltre, per ridurre gli evitamenti delle situazioni che scatenano i ricordi traumatici o i sintomi indesiderati, sono previste le esposizioni in-vivo. Queste vengono utilizzate per testare le specifiche previsioni del paziente e per ridurre la percezione di pericolo imminente che si attiva quando emerge il ricordo traumatico. Una terapia siffatta, così accuratamente strutturata sulla relazione compartecipe tra il paziente e il terapeuta, procede in modo controllato e dolce: la persona che ha subìto un trauma, che possiede perciò un vissuto difficilmente contattabile, sentirà crescere in sé la sicurezza di poter affrontare il passato senza il carico di vergogna, rabbia e dolore che esso porta con sé. La speranza di un futuro florido e pieno potrà abbracciare finalmente la visione della vita.
Uno dei protocolli della TCC più utilizzati negli ultimi anni e di ormai rinomata efficacia (Asmundson et al., 2019) è la Cognitive Processing Therapy (CPT; Resick et al., 2016). Il protocollo prevede un minimo di 12 sessioni, in cui la persona viene aiutata a modificare le credenze disfunzionali legate al trauma per creare nuove interpretazioni e significati alternativi sull’evento traumatico, su di sé, sugli altri e sul futuro. Dopo una fase psicoeducativa su PTSD, pensieri ed emozioni, vengono identificati i pensieri automatici che contribuiscono al mantenimento dei sintomi e della sofferenza. Successivamente il sopravvissuto descrive quali sono le sue interpretazioni dell’evento traumatico, perché è avvenuto, come ha influenzato la sua vita e le convinzioni su di sé, gli altri e il mondo. Inizia poi la fase di processamento, in cui l’evento viene raccontato per iscritto in maniera dettagliata allo scopo di interrompere gli evitamenti su pensieri ed emozioni a esso associati. Il terapeuta aiuta la persona a mettere in discussione i pensieri disfunzionali per modificare anche le affermazioni caratterizzate da vergogna, autocritica e autoinvalidazione. Mentre si attiva il ricordo, quindi, vengono introdotte nuove informazioni che risultino incompatibili con le credenze della persona. Per esempio, la convinzione “è colpa mia se sono stato aggredito” può essere, nel tempo e attraverso una serie di tecniche, messa in discussione e alla fine sostituita con pensieri e credenze del tipo “eri un ragazzino, non avresti potuto fare niente per evitarlo”. Infine, quando la persona ha imparato a identificare e modificare i pensieri disfunzionali sul trauma, viene stimolata a utilizzare queste tecniche e strategie più adattive per aumentare il suo funzionamento generale e migliorare la qualità della vita. In particolar modo, vengono presi in considerazione diversi temi, come sicurezza, fiducia, potere, controllo, autoefficacia e intimità.
Il terapeuta TCC ha, quindi, molti protocolli evidence-based da poter utilizzare con i pazienti che hanno subìto un trauma, all’interno dell’ampia cornice dell’approccio integrato, necessario per il PTSD. Il paziente che vi si affida, dunque, avrà a disposizione strumenti preziosi all’interno di un contesto di agio e gentilezza amorevole che lo porteranno a ricostruire un dialogo di tenerezza con se stesso.
La vita può essere riconquistata, anziché rivissuta. Riprenderne possesso non significa poterla dominare né accettare supinamente quanto in essa accada; vuol dire, piuttosto, affrontare ogni giorno con creatività e consapevolezza, abbracciando anche le tensioni ma senza far sì che esse occupino l’intero spazio della mente e del cuore. Così facendo, nel posto che resta potranno essere piantati semi di felicità e soddisfazione. Perché lo spazio vuoto non deve essere necessariamente una voragine, ma può diventare, infine, spazio libero dove coltivare opportunità.
Riferimenti bibliografici
- Asmundson, G.J.G., Thorisdottir, A.S., Roden-Foreman, J.W., Baird, S.O., Witcraft, S.M., Stein, A.T., J. Smits, J.A. & Powers, M.B. (2019) A meta-analytic review of cognitive processing therapy for adults with posttraumatic stress disorder, Cognitive Behaviour Therapy, 48:1, 1-14.
- Beck, J.S. (2013). La Terapia Cognitivo Comportamentale. Casa Editrice Astrolabio
- Ehlers, A. Understanding and Treating Unwanted Trauma Memories in Posttraumatic Stress Disorder. 2010. Z Psychol, 218(2): 141–145.
- Foa, E.B., Hembree, E.A. & Rothbaum, B.O. (2007). Prolunged Exposure Therapy for PTSD. Oxford University Press.
- Peterson, A. L., Foa, E. B. & Riggs, D. S. (2019). Prolonged exposure therapy. In B. A. Moore & W. E. Penk (Eds.), Treating PTSD in military personnel: A clinical handbook (p. 46–62). The Guilford Press.
- Resick, P. A., Monson, C. M. & Chard, K. M. (2016). Cognitive processing therapy for PTSD: A comprehensive manual. New York, NY: Guilford Press.