Mio padre, il pornografo
Qualche anno fa un altro scrittore americano, Jonathan Franzen – decisamente più celebrato di Chris Offutt, di cui parliamo oggi – scrisse un memoir dal titolo emblematico: Zona disagio.
Lì, Franzen raccontava della morte della madre e del suo ritorno nella casa dove era nato e cresciuto, per svuotarla e venderla. Franzen passava in rassegna ricordi, foto di famiglia, ossessive raccolte di ricevute e scontrini, bizzarre raccolte punti e molto altro e, mentre cercava di vendere la casa, ripercorreva ormai orfano di entrambi i genitori i luoghi, le amenità e le brutture che avevano plasmato la propria infanzia e adolescenza, rendendolo la persona che è diventato oggi. Lettura interessante, decisamente auto celebrativa ma comunque consigliata, sorpassata però a un’altra velocità e lasciata decisamente indietro da questo memoir recentemente uscito per Minimum Fax ad opera di quel grande scrittore americano che è Chris Offutt: Mio padre, il pornografo.
Offutt, come Franzen, torna nella casa di famiglia a seguito della morte del padre, per aiutare la madre a svuotarla e a trasferirsi in una nuova casa. Qui lo scrittore si trova a fare i conti con una figura paterna difficilmente inquadrabile: assicuratore di discreto successo decise a un certo punto della propria vita di diventare scrittore a tempo pieno, per lo più di romanzi pornografici, da lui scritti e dalla moglie dattiloscritti. Non un “autore” ma un solido professionista del “genere”, che avendo un mercato piuttosto ampio a solido, gli consentì discreti guadagni e una vita più che dignitosa per sé stesso e per la famiglia. Questa immane e disordinata produzione è tutta lì, nello studio del padre, stanza da sempre inaccessibile al resto della famiglia. Offutt si appresta a un’opera di catalogazione ardua e impegnativa che, nel contempo, lo porta a ripercorrere le tappe di un’infanzia e di un’adolescenza vissute all’ombra di un padre che qui non esiteremo a definire emotivamente abusante. Andrew Offutt era un uomo ossessivo, egoista, anaffettivo che ha cresciuto i figli in un clima di terrore, inconsapevolmente supportato, subito e condiviso dalla moglie complice, a lui legata da un amore e una dedizione patologici. Scrive Offutt, colto da commozione mentre apre l’armadio di abiti del padre: “provai una pena profonda ma mi affrettai a chiudere da qualche parte quel sentimento, proprio come aveva fatto mio padre. Le emozioni avrebbero interferito con ciò che dovevo fare, mi avrebbero rallentato, reso debole e vulnerabile”. C’è una consapevolezza profonda in Offutt della catena di anaffettività di cui lui è a sua volta portatore sano che ha portato il padre a essere una figura temuta, capace di ferire, mortificare, ma anche uomo lucido e intelligente, tanto da apostrofare il figlio: “non pensavo di averti dato un’infanzia tanto infelice da farti diventare uno scrittore…”. E Offutt, ricordando quelle parole, ricorda anche il suo essere prima lettore che scrittore, la fuga necessaria nei libri, che gli “offrivano la promessa di un mondo in cui un disadattato come me poteva essere felice”.
Questo libro è la storia di un figlio che fa i conti con la figura di un padre-padrone di cui non ha mai smesso di avere paura: “mi sentivo impotente, e disprezzavo me stesso perché ero ancora così vulnerabile a papà dopo anni che ero andato via di casa”. Un padre-padrone che una madre complice e vittima al tempo stesso ha sempre assecondato: “ogni manifestazione di lealtà verso i propri figli la esponeva al rischio che papà concludesse che non era leale verso di lui, il peggior tradimento possibile”. Un padre-padrone in cui Offutt a tratti si riconosce – “lavoriamo sodo entrambi, non molliamo mai, non sopportiamo gli sciocchi, preferiamo starcene da soli e scriviamo, scriviamo, scriviamo…” – ma da quale si affranca accettando di non esserne mai stato veramente amato e di non essere, a sua volta, capace di amare. Nonostante tutto, però “perdere un genitore vuol dire non avere più un ombrello contro le intemperie della vita. A dispetto delle sue condizioni, del tessuto a brandelli e delle stecche rotte, lo avevi comunque a portata di mano, con il suo potenziale di sicurezza e protezione. Ora toccava a me fare da ombrello: per me stesso, per i mie fratelli, per mia madre”.
Una lettura indispensabile (come quasi tutto Offutt peraltro) che ci racconta la storia di un’infanzia emotivamente abusata ma anche buffamente bizzarra, piena di aneddoti che faranno impallidire l’infanzia di molti, pur rendendosi conto che in tantissimi passi di questo straordinario libro ci possiamo riconoscere, ci possiamo commuovere e possiamo prendere consapevolezza di figure genitoriali a volte difficilissime, ingombranti o assenti, eppure imprescindibili con cui dobbiamo e possiamo fare i conti, trovando loro uno spazio dentro di noi.
Mio padre, il pornografo – Chris Offutt
Edizioni Minimum Fax
Titolo originale: My Father, the Pornographer
Traduzione: Roberto Serrai
Pubblicazione: Marzo 2019
Autore: Margherita Chiti