L’autolesionismo: storia di chi si fa del male
Alcune persone si fanno del male nel tentativo di gestire qualcosa di fisico o emotivo che non apprezzano di loro stesse. L’autolesionismo (ovvero il farsi deliberatamente del male) di solito è un atto privato di cui un survivor può vergognarsi o dispiacersi.
Nel caso di vittime di abuso sessuale, l’autolesionismo, anche se potrebbe sembrare diversamente, non è un tentativo di commettere un suicidio. Anzi, a volte potrebbe addirittura evitarlo, in quanto sostituisce la distruzione di una parte del corpo alla privazione della vita intera. L’autolesionismo rappresenta in questo modo un tentativo di gestire la propria esistenza, come prevenzione di un danno maggiore. Chi si fa del male, dunque, vuole trovare un modo per gestire la propria vita, e non per porvi fine.
In alcuni casi i comportamenti automutilanti sono ciclici. La tensione e il dolore emotivo crescono fino a quando il survivor si fa del male per ridurre e controllare questo stato spiacevole. Per un po’ il survivor prova un senso di calma, fino a quando la tensione inizia a crescere nuovamente, e il ciclo si ripete.
L’autolesionismo di solito comincia nell’infanzia, dal momento che chi si fa del male può aver avuto storie di abuso sessuale infantile.
I sopravvissuti possono farsi del male anche come modo per esprimere la rabbia che sentono nei confronti dell’abusante, dal momento che non hanno potuto esprimerla quando si è verificato l’abuso. È molto più facile rivolgere questa rabbia all’interno, verso se stessi, come conseguenza della propria incapacità ad aver reagito.
Altri fattori nelle storie di chi si fa del male possono essere dovuti a sentimenti di perdita, scarsa salute, abuso fisico, un clima domestico violento o di trascuratezza.
Esistono varie forme di autolesionismo: bruciarsi, mordersi labbra e bocca, mangiarsi le unghie e le cuticole, colpirsi da soli, masturbazione nociva, inserzione di oggetti pericolosi nelle cavità corporee, e induzione di dolore senza ferirsi fisicamente. Forme ancora più estreme possono comprendere darsi colpi in testa, applicazione di prodotti caustici o abrasivi, ustionarsi le spalle, ingoiare oggetti, tirarsi i capelli, graffiarsi e aggravare ferite croniche. Le forme più gravi sono rappresentate dall’autochirurgia, l’autosutura e dal tentativo di rimuovere o alterare parti del corpo. In questo caso l’autolesionismo può diventare un modo per localizzare la cattiveria che i survivor sentono di avere. Invece di credere di essere totalmente cattivi, possono focalizzarsi su una specifica parte del corpo. Ad esempio, una donna abusata sessualmente può localizzare la sua cattiveria nei genitali.
Riferimenti
- Calof, D.L. (1995a). Chronic self injury in adult survivors of childhood abuse: sources, motivations and functions of self-injury (Part I). Treating Abuse Today, 5(3), 11-17
- Favazza, A.R., & Favazza, B. (1987). Bodies Unders Siege: Self Mutilation in Culture and Psychiatry. John Hopkins University Press
- Mitchell, J. & Morse, J. (1998). From Victims to Survivors. Taylor & Francis