La terapia come fonte per ristabilire un attaccamento sicuro
Hafiz, il poeta sufi, scrive: “Conosco il modo in cui puoi sentirti quando non hai bevuto la bevanda dell’Amore: La tua faccia si indurisce, ai tuoi dolci muscoli vengono i crampi” (Ladinsky, 1996, p. 42). Lo sappiamo tutti intuitivamente. Senza gentilezza, senza connessione, calore e sicurezza, le facce si serrano, si bloccano. Le persone si sentono vuote e perse, anche se si presentano diversamente davanti agli altri e al mondo.
Chi soffre di trauma irrisolto o di problemi di attaccamento riflette questo conflitto interno nei propri occhi, nei muscoli della propria faccia e del proprio corpo, e nel modo in cui le proprie strutture fisiche e psicologiche si conformano per proteggersi da ulteriori danni. Ogni bambino dovrebbe avere il dono della sicurezza dalla nascita in poi. In quello stato di grazia, un bambino prospera, si allontana dalla propria zona di comfort, fa errori, cerca rassicurazione, apprende e cresce grazie alle esperienze senza vergognarsi. Ritornando a un porto sicuro dopo essersi proteso verso il mondo, il bambino comprende dagli altri che starà bene comunque, nonostante sia successa una qualunque cosa sconveniente. In questo bozzolo di cura, il bambino naturalmente sviluppa una sicurezza psicologica (Bowlby, 1988; Holmes, 2001) e un impulso innato a esplorare se stesso e il mondo.
Un bambino cresciuto in questo ambiente si sente solidamente ancorato al mondo, ha un implicito radicamento rispetto alla molteplicità di ritmi e pattern (Beebe et al., 2010, 2003; Beebe & Lachmann, 2014, 2002) di protesta e di risposta, agli impegni e alla separazione.
Ma che dire di coloro che non godono del dono della sicurezza? Un terapeuta assume il compito di provvedere a un ambiente di accoglimento per i propri pazienti in modo che questi possano riapprendere a essere connessi, in sicurezza, all’interno di relazioni collaborative, reciproche e rispettose.
D’altra parte, dire questo a un sopravvissuto al trauma o a un paziente con gravi problemi di attaccamento, può innescare una risposta aversiva: i loro occhi perderanno il focus o si siederanno in silenzio, storditi. Forse gireranno lo sguardo, rispondendo con una reazione del tipo: “Cosa stai dicendo, sei pazzo?”. O, come un mio paziente avrebbe detto: “E’ tempo di togliersi le lenti rosa dagli occhi. Non è mai successo, e dubito fortemente che succederà”. Questi commenti irriverenti dei nostri pazienti nascondono, non sempre con successo, l’anelito verso una realtà incarnata connessa con se stessi e con gli altri.
I nostri pazienti lasciano i nostri studi e sono di nuovo da soli. Con se stessi. I nostri studi, le nostre relazioni con loro, forniscono il ponte che li connette a loro stessi. Poi arriva il momento quando la session finisce per poi tornare di nuovo a stare da soli, questo può essere straziante. L’avrete visto, lo so. Quel momento quando sia voi che il vostro paziente sapete che è tempo di andare. Guardate il paziente metaforicamente rannicchiarsi in se stesso, mettere i pezzi a posto nell’unico modo in cui sa farlo, così da poter attraversare la porta senza andare in frantumi.
Il nostro compito in terapia, e la pratica per il paziente in quasi ogni momento della vita, è riconoscere che, sotto tutte le apparenze, nessuno viene abbandonato senza soffrire. Sostenere i nostri pazienti a connettersi alla nostra comune umanità (Neff, 2011) fornisce un modo per facilitare la solitudine (Fosha, 2011, 2000).
La teoria dell’attaccamento ci aiuta a comprendere quanto sia difficile anche per le persone ben equilibrate e sane abbandonare le difese che le hanno da sempre tenute al sicuro per fidarsi di un’altra persona. La mancanza di forti legami emotivi di attaccamento sicuro è presente in circa il 40% della popolazione (Bakermans-Kranenburg & van Ijzendoorn, 2009; Brown, Elliott, et al., 2016; Moullin, Waldfogel, & Washbrook, 2014).
Per i nostri pazienti che sono stati cronicamente trascurati, abbandonati, traditi o traumatizzati, la fiducia è difficile da conquistare, ma al tempo stesso è la soglia principale che devono attraversare per poter guarire i propri cuori, i propri corpi e le proprie menti. È un coraggioso passo in avanti verso la sicurezza e la fiducia che i nostri pazienti co-creino con noi una nuova base sicura da cui riorganizzare le loro rappresentazioni di attaccamento.
In questo ambiente esplicitamente integrativo di contenimento, i nostri pazienti affrontano un rischio nel mostrarci la loro rabbia, il disprezzo, il loro giudizio, la loro disapprovazione, il rifiuto, la gioia, la vitalità e la saggezza. Accettando tutti gli aspetti della loro espressione con gli appropriati confini, i nostri pazienti sviluppano internamente una sicurezza, una fiducia in se stessi che forma un’auto-strutturazione, la quale permette loro di avventurarsi nel mondo fuori da una base nuova e più sicura.
Riferimenti
- F. Deirdre (2017). Attachment-Based Yoga & Meditation for Trauma Recovery: Simple, Safe, and Effective Practices for Therapy. W. W. Norton & Company
Autore/i dell'articolo
Dott.ssa Antonella Montano
- Fondatrice e Presidente della Onlus Il Vaso di Pandora, la Speranza dopo il Trauma.
- Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale
- Fondatrice e Direttrice dell’Istituto A.T. Beck per la terapia cognitivo-comportamentale di Roma e Caserta
- Fondatrice e Vicepresidente CBT-Italia – Società Italiana di Psicoterapia Cognitivo Comportamentale
- Certified Trainer/Consultant/Speaker/Supervisor dell’ACT (Academy of Cognitive Therapy)
- MBSR teacher. Expert Yoga Trauma teacher certificata Yoga Alliance®-Italia/International
- Membro dell’IACP (International Association of Cognitive Psychotherapy)
- Membro dell’ESTD (European Society for Trauma and Dissociation)
Dott.ssa Roberta Borzì
- Componente del comitato scientifico della Onlus Il Vaso di Pandora, la Speranza dopo il Trauma.
- Psicologa, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale.
- Vanta esperienza clinica in ambito adulto, e si occupa prevalentemente di tutti i disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, problematiche sessuali, disturbi di personalità con la Schema Therapy, in cui è formata attraverso training specifici e supervisione con esperti del settore. Ha anche conseguito entrambi i livelli della formazione in EMDR.
- Socio Fondatore CBT-Italia – Società Italiana di Psicoterapia Cognitivo Comportamentale.