Intervista a Suor Mary Lembo
di Federica Rondino.
Quando si prova a parlare di abusi, di violenze fatte da chi indossa un abito clericale si trovano molti ostacoli, molte barriere, tanti no. Quando a essere violentate da sacerdoti, preti sono suore, far emergere gli orrori è ancora più difficile.
Ma c’è una suora che non si è arresa e con la sua tesi di Dottorato ha voluto svelare qualcosa di cui non si era mai parlato. Lei è Suor Mary Lembo, la sua tesi di Dottorato porta il titolo: “La relazione pastorale sana e matura: maturità affettiva e sessuale per la collaborazione tra sacerdoti e consacrate. Un’analisi qualitativa”
Suor Mary Lembo ha documentato gli abusi perpetuati in alcuni paesi dell’Africa all’interno della Chiesa sulle suore, a volte anche minorenni.
La tesi è stata discussa, anche se non tutto è stato ancora pubblicato, come ci accenna suor Mary Lembo alla fine di questa intervista.
Un’intervista in cui si parla di abusi, di abuso di potere, di uso improprio del Voto di Obbedienza, dei silenzi, delle paure delle suore che prima di essere tali sono donne con il loro vissuto e il loro desiderio di futuro consacrato per Dio e la Chiesa.
Lei, Suor Mary Lembo vuole formare le suore, e non solo, in modo che: “se entri nell’ufficio di un sacerdote e quello ti stupra puoi gridare forte quello che è accaduto. Anche se esci dalla stanza nuda, devi urlare che sei stata violentata. Non c’è nessuna vergogna. Chi deve provare vergogna è chi ha violentato.”
D: Suor Mary Lembo, come nasce la sua tesi di dottorato: “La relazione pastorale sana e matura: maturità affettiva e sessuale per la collaborazione tra sacerdoti e consacrate. Un’analisi qualitativa”?
R: Sono figlia di un pastore protestante. Per me la fede era quella della preghiera e del vivere bene. Mio padre è morto e quando avevo 18 anni ho chiesto di fare il battesimo cattolico. Ne avevo sentito il desiderio conoscendo una suora che a scuola insegnava religione. Non è stato semplice, poi sono riuscita a fare il cammino religioso e stare più vicino alle persone.
Grazie a Dio ho potuto studiare pedagogia a Roma per gestire le scuole. Mi hanno successivamente chiesto di studiare psicologia alla Gregoriana sempre per fare formazione. Questi due studi mi hanno permesso di sviluppare la capacità di ascolto.
Tornata in Africa le persone, le suore, si avvicinavano a me e mi parlavano. Facevo soprattutto workshop alle suore sulla maturità affettiva e sessuale e nel farlo usavo un linguaggio abbastanza chiaro. Chiamavo le cose con il nome e spiegavo alle giovani religiose e ai seminaristi in maniera chiara cosa significa l’impegno che prendono a vivere la castità.
Grazie a questo modo di parlare e relazionarmi, sono venuta a conoscenza di tante cose. A quell’epoca non potevo chiamarle abuso, ma sentivo che c’era qualcosa che non andava. Secondo me, la relazione sessuale deve essere una cosa piacevole, ma queste persone non trovavano nessun piacere anzi soffrivano.
Quando io parlavo a queste persone e dicevo di smettere con questa relazione, loro mi dicevano che no, non potevano.
Poi, quando sono stata invitata a collaborare qui al Centro di Protezione dei Minori e ho studiato le situazioni di abuso che ci sono dentro la chiesa soprattutto sui minori e sui bambini, sono riuscita a capire anche la dinamica di abuso su persone adulte che avevo ascoltato.
A quel punto ho scelto di fare questa ricerca perché nell’ambito della vita consacrata le donne consacrate vivono situazioni di abuso in tanti modi. Io ho scelto di affrontare quella più delicata, ossia l’abuso sessuale.
Parlare di sessualità per le consacrate è difficile e dire che una consacrata è stata abusata è ancora più complicato. Ci sono donne consacrate, ma tristi perché vivono situazioni di cui non possono parlare e da cui non possono uscire. Non ne hanno la forza.
Per questo mi sono detta che valeva la pena di indagare su questa situazione per capire le dinamiche e pensare a una prevenzione che deve partire dalla formazione della vita consacrata. Così è nata la mia ricerca che ho voluto fosse qualitativa.
D: Come si avvicinava alle suore per farle parlare, per far raccontare loro quello che stavano vivendo?
R: È stato molto difficile. I primi due anni andavo in Africa e giravo a vuoto. Poi il terzo anno sono riuscita a fare qualche intervista. La cosa complicata era anche che una cosa era che raccontassero a me quello che vivevano, un’altra era che acconsentissero affinché raccogliessi i dati per la ricerca. Anche se dicevo a tutte che sarebbero rimaste nell’anonimato, avevano paura. Ma affinché la ricerca fosse valida avevo bisogno che firmassero dei documenti. Mi dicevano che non volevano, che non volevano che si dicesse che stavano distruggendo la chiesa. Poi qualcuna ha iniziato a collaborare. Ma sono dovuta andare da loro, parlare faccia a faccia.
Ho dovuto far capire alle sorelle che la ricerca serviva per aiutare tutte noi, che non stavamo facendo del male alla Chiesa, ma anzi del bene. Prima avevo mandato tante lettere alle sorelle, ma nessuna mi aveva risposto.
Per avere il numero necessario per la ricerca ho chiesto anche l’aiuto ad alcuni padri spirituali che avevano ricevuto alcune consacrate in queste situazioni, agli psicologi, agli psichiatri che hanno aiutato a curare queste donne. Donne che dal vissuto hanno avuto conseguenze pesanti che influiscono sul loro corpo e che le fanno vivere tante difficoltà.
Queste donne non vanno in cura dicendo che sono state abusate, ma ci arrivano dicendo che hanno la depressione. Poi piano piano si aprono e si capisce che tutto questo nasce dall’aver vissuto una relazione non voluta da cui non riescono a staccarsi. Così sono riuscita ad avere il numero necessario per avviare questa ricerca.
D: In qualche Congregazione ha trovato il divieto di fare le domande alle suore?
R: Si. In tutte in tutte le Congregazioni. Questo lavoro è stato possibile solo individualmente. Ho potuto fare la ricerca solo grazie alle brave donne che hanno voluto parlare.
D: Che cos’è il Voto di Obbedienza?
R: Il Voto di Obbedienza significa fare la volontà di Dio. Noi cerchiamo di imitare Gesù come figlio di Dio. Gesù ha sempre fatto quello che Dio gli ha chiesto per salvare l’umanità. Io con il Voto di Obbedienza ho accettato di non decidere le cose da sola, ma di farlo parlando con la mia superiora. Io non ho soldi per me. Quando bisogna prendere una decisione lo facciamo insieme come adulte. Ma la superiora non mi impone nulla.
Purtroppo non sempre è così. In certe situazioni c’è uno che domina e lo ribadisce con forza. Ma questo non è il Voto di Obbedienza
D: Lei crede che il Voto di Obbedienza, se interpretato in maniera erronea, incida sul fatto che le suore si sentano in dovere di sottostare alle richieste di un superiore?
R: Si. In diversi casi si usa il Voto per i propri fini. Per esempio: sei stata abusata, ma devi stare zitta non lo devi dire a nessuno perché sono io a dirti che non lo devi dire. Oppure un superiore che dice alla suora: “Io vengo a quest’ora, nella tua stanza perché ti devo parlare. Il superiore arriva e fa quello che vuole con la suora. E lei deve stare zitta, non denunciare per obbedienza.” Ma questo non è il Voto di Obbedienza, è abuso.
D: Trova delle differenze tra le suore che operano in Africa e quelle che operano in Occidente?
R: A livello di funzionamento umano è uguale. Il desiderio di dominare è uguale, come la paura.
Ma a livello di quantità, in Africa ci sono più possibilità che alcune situazioni avvengano. Perché è diversa la formazione, la cultura e i mezzi economici. Questi elementi incidono sulla possibilità che qualcuno si senta nella situazione di poter dominare e l’altro in quella di doversi sottomettere.
Le ragazze o le donne qui in Occidente hanno una formazione a livello culturale che fa si che quando vengono abusate possano parlare, anche se molto dipende da come si è stati educati in casa.
Se in famiglia viene data la possibilità alla bambina di esprimersi, questo permette alle donne, alle bambine di avere la forza di raccontare quello che si sta vivendo. Se invece il bambino/ la bambina si fa tacere ancora prima che possa anche solo parlare questo fa si che crescendo obbedisca in silenzio alle autorità e non racconti.
Poi vi è il fattore economico. I superiori sanno chi ha i soldi e chi no.
D.: Quando è arrivato il momento di pubblicare la sua tesi, era sicura che gliela avrebbero pubblicata o aveva scoperto troppo e temeva che ne impedissero la pubblicazione?
R: Quello che ho scoperto che avviene in una struttura come quella della Chiesa è molto forte. Se noi seguiamo Gesù non possiamo accettarlo. Io ho avuto il permesso e il sostegno dall’Università di pubblicare tutto.
Fino ad oggi non è stato pubblicato tutto il lavoro.
Il mio obiettivo era di capire come mai accadono situazioni di abuso dentro la Chiesa. Su questo come mai si costruisce la sensibilizzazione. Purtroppo da sola non posso fare tutto. Sto cercando di convincere che è vergognoso, terribile quello che ho scoperto, ma più di tutto è importante la sofferenza delle persone e per questo io non posso tacere. Se con il mio lavoro posso alleviare o impedire la sofferenza di anche solo una donna che soffrirebbe la stessa pena, io mi dò da fare affinché questo avvenga.
D. Lei continua a fare formazione: quanto è importante far comprendere a chi prende i voti quali siano i suoi diritti?
Essere cristiani, non prescinde dall’avere diritti. Il diritto chiama la responsabilità. Per molto tempo non si è pensato di inserire i diritti nella formazione delle suore.
Io lavoro per una formazione che metta l’accento sui bisogni, sui diritti, sulla dignità e soprattutto sulla forza della donna di dire NON VOGLIO, NON VOGLIO, NON VOGLIO.
Quando dico questo alle ragazze, mi guardano come se dicessi qualcosa di assurdo. Perché chi è stato stuprato deve avere vergogna? Perché chi ha fatto questo non la deve avere? Perché si impedisce alle ragazze di denunciare?