“Esame di coscienza”: la testimonianza di Miguel Ángel Hurtado
“non sono più un bambino, ho molte più risorse oggi e non è più così facile farmi tacere”
di Federica Rondino
“Esame di coscienza” è una docu-serie di Netflix (vietata ai minori di 14anni) che indaga e racconta alcuni casi di pedofilia avvenuti all’interno delle istituzioni cattoliche spagnole.
Un documentario necessario per portare alla luce il dramma silenzioso di molti bambini, poi divenuti adulti e l’orrore perpetuato da chi avrebbe dovuto essere un porto sicuro. “C’è sempre lo stesso schema dietro gli abusi. è un film di cui già conosco la fine” (Miguel Ángel Hurtado).
Testimonianze di chi, a un certo punto della propria vita, ha deciso che era necessario parlare, raccontare la realtà di seminari, scout, chiese. Di far sapere a tutti il tentativo, di una parte della chiesa, di mettere a tacere quelle voci attraverso il denaro e soprattutto la solitudine di chi bambino ebbe la forza di denunciare ai superiori, ma nonostante si sapesse non accadde nulla.
Non sono pochi i nomi di chierici venuti alla luce attraverso le testimonianze dei sopravvissuti. Tra tutti quello di padre Andreu Soler. Un prete a cui negli anni sono state dedicate anche biografie commemorative per la sua “grandezza”. Biografie, parole che sono un colpo in più per chi da quell’uomo ha ricevuto solo l’inferno.
Tra le testimonianze quella di Miguel Ángel Hurtado, psichiatra oggi, 16enne quando subì gli abusi durante gli scout. Per provare a superare il vissuto è diventato un attivista e ha raccontato la sua storia.
Alcune delle sue parole, delle sue testimonianze presenti nel documentario vogliamo riportare qui di seguito. Sono le domande che avremmo voluto porgergli noi stessi.
“La prima cosa che dovetti fare per uscire dal tunnel – dichiara Hurtado – era cercare un aiuto psicologico”. Ma non è stato semplice trovare l’aiuto necessario, fino a quando non ha incontrato il gruppo.
Quando mi proposero la terapia di gruppo – ricordo Hurtado – sentii sentimenti contrastanti.
“Quando mi proposero la terapia di gruppo – ricordo Hurtado – sentii sentimenti contrastanti. Da una parte dovevo cambiare quello che avevo fatto fino ad allora e che non aveva avuto risultati, ma dall’altra mi faceva molto paura l’ignoto”. Il primo giorno è ancora presente nella sua memoria: “ricordo il primo giorno, ero molto spaventato, ma non credo fossi l’unico eravamo tutti in silenzio. Finché una ragazza si decise a raccontare la sua storia e quel giorno rimanemmo a parlare più del tempo previsto.”
Importante per Miguel Hurtado è stato l’aver incontrato Vicki Bernadet, vittima di abuso e attivista. Nel documentario è presente un momento in cui i due riportano alla memoria quel periodo. Vicki ricorda come Miguel fosse terrorizzato dalle istituzioni e anche dalle reazioni della gente. La sua paura che il ricordo non corrispondesse alla realtà. Ma dall’altra parte anche la fermezza nell’affrontare quel momento. “Puoi affrontare il parlare, il raccontare cosa ti è accaduto ma devi sempre tenere presente quale reazione potresti trovare e del prezzo che sei disposto a pagare”.
Per Miguel Hurtado, come racconta nel documentario, raccontare la storia è stato il modo per iniziare a vivere e non più sopravvivere. Non senza paura. “Non posso cambiare il passato. Non posso cambiare le decisioni che gli adulti presero allora. Però adesso non sono più un bambino molestato. E ora, da adulto, ho deciso di raccontare la verità.”
adesso non sono più un bambino molestato. E ora, da adulto, ho deciso di raccontare la verità.
“Avevo circa 21, 22 anni quando, dopo aver visto una serie televisiva sui reati sessuali, il trauma riemerse. Iniziai a sentirmi emotivamente molto male e compresi che avevo bisogno di un aiuto psicologico. Scrissi una lettera all’abate Andreu Soler. Gli spiegai che avevo dei disturbi psicologici, che avevo bisogno di un professionista e che secondo me loro erano i responsabili. Per questo la terapia dovevano pagarla loro e non i miei genitori. Ricevetti una risposta dal suo avvocato. Diceva che la mia testimonianza era credibile e giungevano alla conclusione che 7000/75000 euro era una cifra ragionevole”.