Disturbo di panico
Il disturbo di panico è un disturbo d’ansia caratterizzato da episodi inaspettati e ripetuti di paura intensa (della durata massima di 20 minuti e che raggiungono il picco in 10 minuti) accompagnati da sintomi fisici (respiro affannoso, accelerazione del battito cardiaco, vertigini, sudorazione, tremori, ecc.) e da interpretazioni catastrofiche di tali eventi fisici (paura di morire, di impazzire, di perdere il controllo, ecc.).
Una storia di abuso sessuale durante l’infanzia e, dunque, la presenza di eventi traumatici precoci si sono mostrate associate allo sviluppo del disturbo di panico in età adulta. Il report pubblicato nel 2007 dalla World Health Organization ha presentato dati epidemiologici sulle conseguenze a lungo termine degli abusi sessuali sui bambini, mostrando un’elevata incidenza (pari al 10%) del disturbo di panico in questa popolazione.
Numerose evidenze scientifiche convergono sull’ipotesi che lo sviluppo del disturbo di panico in sopravvissuti a esperienze traumatiche sia dovuto all’impatto del singolo evento o di più eventi traumatici (per effetto cumulativo) sulla vittima. I sopravvissuti a un abuso sessuale infantile con disturbo di panico, infatti, si sono mostrati caratterizzati da una maggiore gravità dei sintomi e del quadro clinico complessivo (per esempio, la comorbilità con altri disturbi psicopatologici come la depressione; Klauke et al., 2010). Uno studio di Leskin e Sheikh (2002) ha mostrato che il 24.2% delle donne e il 5% degli uomini con disturbo di panico presentavano una storia di abuso sessuale infantile, supportando l’ipotesi che il trauma rappresenti un importante fattore di rischio per lo sviluppo del disturbo.
Trauma infantile e disturbo di panico
Vi sono due ipotesi principali che spiegano la causa della stretta associazione tra trauma infantile e disturbo di panico.
Una prima teoria spiega che il trauma produce un eccesso di attivazione in quella parte del nostro cervello che è coinvolta sia nella risposta allo stress che nel panico dopo l’evento traumatico, dunque, i sopravvissuti, sperimentando uno stato cronico di eccessiva attivazione del sistema neurovegetativo e di iper-vigilanza, sarebbero più suscettibili all’innesco di reazioni di panico.
Altre evidenze scientifiche hanno mostrato che durante l’esperienza traumatica la vittima può presentare (nel 50-90% dei casi) una reazione di allarme che genera il panico e, conseguentemente, ciò può determinare un’associazione stabile nella mente tra gli stimoli collegati al trauma (immagini, suoni, pensieri ecc..) e le risposte di panico. In altre parole, al momento del trauma si stabilirebbe un condizionamento tra i segnali interni ed esterni presenti durante l’evento e il panico sperimentato; tali segnali, quando rivissuti nel momento presente, anche inconsapevolmente, diventerebbero dei veri e propri fattori scatenanti gli attacchi di panico.
E’ necessario sottolineare che, anche per i sopravvissuti a un trauma, le interpretazioni non corrette delle sensazioni corporee svolgono un ruolo diretto nell’innesco degli attacchi di panico; infatti, nonostante la risposta di panico sia spesso scatenata dai ricordi legati al trauma, fino al 30% delle persone traumatizzate con disturbo di panico riporta anche attacchi di panico in presenza di stimoli e segnali non associati all’esperienza traumatica, ma relativi a sintomi fisici che vengono valutati come indicatori di pericolo, morte imminente o di perdita di controllo o pazzia.
Trattamento
Oltre all’intervento specifico effettuato sul trauma, anche per i sopravvissuti a eventi traumatici con disturbo di panico il trattamento d’elezione è il protocollo TCC (Terapia Cognitivo-Comportamentale).
Il trattamento, di comprovata efficacia, prevede:
- a) una fase di psicoeducazione sull’ansia e sul disturbo di panico, sul ruolo dei pensieri disfunzionali e delle interpretazioni catastrofiche che scatenano/mantengono/alimentano il disturbo, sulla modalità in cui i fattori scatenanti legati ai ricordi del trauma possono attivare i network della paura e innescare gli attacchi di panico;
- b) la ristrutturazione cognitiva delle interpretazioni catastrofiche sui sintomi sperimentati;
- c) l’apprendimento di tecniche mirate come, per esempio, gli esercizi di respirazione controllata effettuati per ridurre l’iperventilazione;
- d) gli esperimenti comportamentali per l’induzione dei sintomi in seduta (come gli esercizi di esposizione enterocettiva alle sensazioni associate all’ansia) allo scopo di imparare a “rimanere” con essi;
- e) i protocolli di esposizione graduata “in vivo” per ridurre gli evitamenti e i comportamenti protettivi che mantengono e alimentano il problema;
- f) l’apprendimento della Mindfulness per una maggiore accettazione dei sintomi corporei.
Riferimenti
- American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. 5th edition. (DSM 5). Arlington, VA: American Psychiatric Association.
- Klauke, B., Deckert, J., Reif, A., Pauli, P. & Domschke, K. (2010). Life events in panic disorder—an update on “candidate stressors”. Depression and Anxiety, 27(8): 716-730.
- Leskin, G.A. & Sheikh, J.I. (2002). Lifetime trauma history and panic disorder: Findings from the National Comorbidity Survey. Journal of Anxiety Disorders, 16: 599-603.