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Quando il trauma entra nella coppia.

IL VASO DI PANDORA·MERCOLEDÌ 16 NOVEMBRE 2016

di Paola Di Lazzaro

Maria Paola Boldrini è psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale. E’ membro del board dell’ESTD (European Society for Trauma and Dissociation) associazione scientifica che mette in rete clinici e terapeuti di tutta Europa per condividere ricerche ma anche nuovi approcci e nuovi modelli, riguardo tutte le problematiche connesse al trauma. Con lei esperta di disturbi post traumatici e da stress dell’adattamento, ma anche di disturbi sessuali e di terapia di coppia abbiamo parlato di come una persona vittima di abusi sessuali vive le sue relazioni sentimentali.

Dottoressa, intanto le chiedo come arriva una persona che ha subito degli abusi sessuali, specie in tenera età, a costruirsi una vita di coppia? Innanzitutto, purtroppo, non succede a tutti e quando accade è perché queste persone ad un certo punto della loro vita cercano di ascoltare il bisogno, naturale, di avere una vita affettiva, di ricercare una sessualità diversa da quella incontrata nell’abuso, di sperimentarsi nella dimensione amorosa. Di provare, mi passi l’espressione, a sentirsi “amati in modo normale”. L’amore viene visto anche come possibilità di riscatto, di riparazione, di risarcimento della sofferenza subita.

Ma così non c’è il rischio che si idealizzi la relazione, caricandola di eccessive aspettative? Tendenzialmente sì perché spesso queste persone vedono nella relazione amorosa l’unica possibilità di accesso alla normalità che gli è stata negata. Il loro ingaggio in una relazione è molto complesso proprio perché la scelta del partner è inficiata a monte da tutto un sistema di idealizzazioni che hanno proiettato sulla relazione.

Non avrò mai una relazione normale. Quante volte le è capitato di sentire questa frase da parte di chi ha subito una violenza? Tante, per questo dico sempre che la cosa importante è incoraggiare chi è stato vittima ad essere fiducioso, ma anche a non cercare nel partner un salvatore quanto, piuttosto, qualcuno con cui sperimentarsi, con cui esplorare la relazione come ambito della propria esistenza, e della propria evoluzione personale. E’ importante far capire a queste persone e a queste coppie che le relazione è sempre un’esperienza costruttiva, anche quando parte da un dato iniziale che potrebbe essere pregiudizialmente sfavorevole come il fatto che uno dei due è stato abusato in età precoce. Chi ha subito una violenza ricercherà nella sua vita partner violenti o a sua volta diventerà un abusante. E’ d’accordo su questa interpretazione? E’ un luogo comune. Non succede nella maggioranza dei casi ma può succedere. Un bambino che impara una cosa, se non ha il metro per capire che è una cosa sbagliata, istintivamente, tenderebbe a ripeterla. E’ stato notato come bambini abusati tendono ad agire sui coetanei con quel tipo di schema a cui sono stati esposti, sotto forma di gioco o anche in modo più esplicito. Se non c’è un intervento terapeutico immediato è chiaro che quel bambino diventerà un adolescente e poi un giovane adulto che ricalcherà quello schema. Uno schema che affonda le sue radici nella parte bambina bloccata nel trauma. Ma insisto: questo non vuol dire che tutte le persone che hanno subito abusi diventano o sono potenzialmente molestatori o abusatori o che continueranno a subire abusi. C’è una parte che non riesce ad emanciparsi dallo schema appreso e che in qualche modo lo ripete. Ma oggi siamo in condizione di dire che se si agisce precocemente e terapeuticamente si riesce ad ottenere il reset di questo schema. Tornando alla dimensione di coppia: è giusto condividere con il partner i traumi che ci si porta dentro? Quando il trauma affiora, affiora in modo potente ed è uno tzunami per tutti, per la coppia ancora di più. Se affiora in modo un po’ più agevolato, ad esempio nell’ambito di una terapia di coppia, chiaramente questa ondata è più arginabile. Per questo io credo che sia sempre meglio parlare prima con un professionista che ti può aiutare a comunicare con il partner nel modo giusto. Bisogna infatti tenere conto che anche il partner di una persona traumatizzata a sua volta diventa oggetto di un trauma indiretto e quindi va preso a suo modo in carico, aiutato a reggere il colpo che ti cambia anche l’immagine della persona che hai di fronte che tutto a un tratto diventa “il bambino” “l’adolescente”, “la vittima”. Ovviamente non è sempre possibile ricorrere a un professionista anche perchè intanto può capitare che la persona che ha subito un abuso sia indotta a svelarlo a causa dei disturbi sessuali, dell’affettività o dell’intimità che porta dentro la relazione e quindi a un certo punto la persona o è costretta o decide di svelarlo sperando che il partner faccia un operazione di “salvataggio”; e non sempre i partner che si trovano in questa situazione sono in grado di farlo.

A un partner che riceve la confessione di un abuso come consiglia di comportarsi? L’indicazione che mi sento di dare sempre, dal punto di vista clinico ma anche umano, è quella di cercare per quanto possibile di porsi in un atteggiamento di ascolto, di stare vicino alla persona che racconta, di empatizzare con questa sua sofferenza, non avendo però la pretesa di dover dire necessariamente qualcosa che sia di conforto. Perchè spesso per queste persone è già di conforto che l’altro riesca a stargli accanto e ad ascoltarli in modo partecipe. Avere la pretesa di dire cose risolutive, è il problema in cui si trovano tanti partner di persone vittime di abusi che si fanno carico di dover assurgere al ruolo di salvatore/crocerossina, di principe azzurro/principessa che ti prende per mano cancellandoti ogni sofferenza.

Un progetto come Pandora può essere di supporto anche alle coppie con un survivor? Iniziative come quelle di Pandora sono fondamentali perchè nel nostro paese c’è poca cultura nel rivolgersi a strutture pubbliche ma anche private, per questo tipo di problemi. E’ vero che la coppia è un soggetto più difficile, che è più raro che arrivi la coppia a chiedere aiuto però è anche vero che ce ne fossero anche due, sono quelle due che poi fanno da portatore di interesse per altre quattro che poi diventano otto che poi diventano 12, dopo è il passaparola che funziona. Pandora può diventare il luogo dove, ad esempio un paziente che in terapia non riesce ancora a svelare le molestie, i traumi, gli abusi che ha subito può sentirsi più sicuro, tranquillo, libero di raccontarsi.

 

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