Che cosa succede al cervello di chi ha subito una violenza? Ne parliamo con la dottoressa Rita Vadalà.
IL VASO DI PANDORA·MARTEDÌ 24 MAGGIO 2016
Metodi diagnostici come il neuroimaging evidenziano come le persone vittime di abusi subiscano danni a quelle zone del cervello preposte alla regolazione delle emozioni e alle funzioni di memoria. Gli stessi metodi dimostrano che si può, però, anche guarire.
di Paola Di Lazzaro
Dolore, paura, vergogna. Quando pensiamo alle persone che hanno subito abusi e violenze tendiamo ad associare naturalmente le conseguenze dell’evento traumatico ad una sofferenza emotiva che si può esprimere sotto forma di depressone, rabbia, auto isolamento, tentativi auto lesionistici, disturbi sessuali e tant’ altro. Una sofferenza la cui cura, è affidata, nel migliore dei casi, alla mera assistenza psicologica e, nella stragrande maggioranza delle circostanze, al nulla: all’idea tanto drammaticamente popolare, quanto mai fallace, che sarà il “tempo a guarire tutti i mali”. Da anni però gli studi scientifici ci dimostrano che le conseguenze del trauma non agiscono solo sul “corpo e l’animo” delle persone, ma lasciano tracce e cambiamenti profondi anche nel cervello, che subisce vere e proprie modifiche che agiscono e si perpetuano nel tempo. Per capire meglio cosa accade e come si può intervenire anche a livello neurobiologico su una persona vittima di abusi sessuali abbiamo intervistato Rita Vadalà, medico chirurgo, specialista in Diagnostica per Immagini e Neuroradiologia, presso la Fondazione Santa Lucia di Roma. Per prima cosa, sfatiamo un mito: il trauma psicologico non è una ferita dell’anima che agisce sull’inconscio, ma un danno biologico vero e proprio che ha conseguenze sul cervello. Come si è arrivato a capirlo? La ricerca nel campo delle neuroscienze negli ultimi decenni si è sempre più interessata allo studio dei disturbi riscontrabili nelle vittime di un trauma maggiore come possono essere le violenze interpersonali o eventi catastrofici anche collettivi, partendo dall’esperienza dei veterani di guerra, con l’intento di comprende i meccanismi neurofisiologici alla base dei sintomi fisici manifestati: quali ad esempio paura intensa, incubi, stress cronico, difficoltà a concentrarsi, ipervigilanza o esagerate risposte di allarme. Questo ha permesso di ampliare, mano a mano, il campo di studio e di osservare come manifestazioni-sintomi fisici simili si riscontrassero anche nelle persone che sviluppano quello che viene definitivo un Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) conseguente ad un trauma da abuso o violenza sessuale.
In pratica le vittime di una violenza sessuale subiscono lo stesso tipo di danno e accusano gli stessi disturbi di persone sopravvissute a una guerra o a un terremoto? I sintomi, le manifestazioni fisiche e psicologiche possono essere simili, i meccanismi neurofisiologici sono in parte comuni, la differenza è nella pervasività dovuta alla continuità nel tempo di un trauma da abuso e soprattutto dall’età in cui l’abuso viene subito; potremmo in definitiva dire che la “gravita” è in un certo qual modo proporzionale al tipo di abuso, alla sua durata nel tempo e all’età in cui si è subito.
Entrando nel dettaglio. Nei casi di abusi e violenza cosa accade al cervello? Nel caso di un trauma da abuso prolungato e continuativo nel tempo i meccanismi che inizialmente vengono messi in atto come strategie di risposta e difesa si bloccano in un ciclo parossistico che crea una disregolazione sia a livello del sistema nervoso centrale che del sistema nervoso periferico, con conseguenti alterazioni del sistema neuro endocrino e modificazioni delle interconnessioni delle aree cerebrali coinvolte. La disregolazione di questi macrosistemi ha come manifestazione sintomi molto differenti fra di loro che se non contrastati hanno un andamento crescente nel tempo; l’incapacità di gestire le emozioni intense, quali rabbia, paura, vergogna, colpa, l’incapacità di controllare i propri impulsi, attacchi di panico, la depressione, i disturbi dell’alimentazione oppure del sonno o i disturbi sessuali, sintomi fisici cronici non riconducibili a cause mediche, disturbi di personalità correlati al trauma, i più frequenti sono il disturbo Bordeline, l’evitante e il narcisistico, lo sviluppo di un Disturbo Traumatico da Stress Complesso, fino a condizioni estremamente invalidanti come la depersonalizzazione e derealizzazione e sino ad un disturbo dissociativo dell’identità (DID).
Quali sono le zone del cervello più a rischio di compromissione per le persone vittime di traumi gravi? Schematicamente le principali aree cerebrali coinvolte sono la corteccia frontale e prefrontale , la regione dell’ippocampo e l’amigdala, coinvolte in sistemi organizzativi neuronali deputati anche a processare e regolare le emozioni e le funzioni della memoria. E’ evidente come il fallimento o meglio l’alterazione di questi sistemi porti a conseguenze ad ampio raggio sull’equilibro generale del sistema nervoso. E questo spiegherebbe perché quando ci troviamo di fronte ad una persone che ha subito un abuso spesso ci confrontiamo con persone che hanno forte disregolazioni emotive, difficoltà a distinguere tra ricordi del passato e del presente, se non addirittura assenza di memoria dell’evento stesso.
Che cosa è il neuro imaging e come ci aiuta e rilevare anche i traumi da abuso e violenza? Possiamo definire il neuroimaging come l’insieme delle metodiche di diagnostica per immagini che ci permettono, applicate alla ricerca preclinica e clinica, di visualizzare in vivo la morfologia, la funzione, il metabolismo del sistema nervoso, sia in condizioni normali che patologiche, e quindi di identificare i meccanismi che stanno alla base sia del funzionamento “normale” che “alterato”.
Può succedere che le persone dimentichino il trauma? E se succede ci sono comunque delle conseguenze? Esiste una “amnesia” post traumatica, possiamo semplificando dire che i ricordi di alcuni traumi maggiori, sempre per un meccanismo di difesa, diventano non accessibili al ricordo consapevole; tra le scoperte più importanti degli ultimi anni c’è il riconoscimento di una memoria che possiamo definire “somatica”, ovvero del corpo: la nostra mente consapevolmente non ha un ricordo dettagliato degli episodi subiti ma il nostro corpo si, sotto forma di percezioni immagazzinate, e quindi si riattiva a stimoli esterni che possono ricondurci all’evento: colori , suoni odori. Una condizione, se pensiamo, destabilizzante, perché abbiamo manifestazioni fisiche del trauma senza la possibilità di capire da cosa provengano.
Si possono riabilitare in qualche modo le compromissioni di un cervello che ha subito un trauma. Ci fai qualche esempio? Molti studi clinici si stanno occupando proprio dell’efficacia del trattamento terapeutico nei pazienti che hanno subìto un trauma. Una grande risorsa del sistema nervoso risiede nella neuro plasticità che possiamo intendere con la possibilità di “rigenerare” e riconnettere aree funzionali. E quindi ad oggi studi clinici hanno dimostrato l’efficacia della terapia cognitivo comportamentale ma anche dell’MBSR (mindfulness based stress reduction) o del Tsy (Trauma Sensitive Yoga) interventi terapeutici focalizzati anche sulla consapevolezza, la meditazione, l’attenzione intenzionale al respiro e al proprio corpo, che negli Stati Uniti sono adoperati negli ospedali da più di 40 anni e che oggi lentamente si stanno diffondendo anche da noi. Molto ancora abbiamo da studiare ma alla “sola” constatazione del miglioramento del Paziente si associa spesso la possibilità di affiancare un dato oggettivo quantificabile del miglioramento stesso, quantificabile proprio grazie alle metodiche di neuroimaging.
Un progetto come il vaso di Pandora può essere di aiuto? Il vaso di Pandora nasce prima di tutto come un luogo di incontro per i sopravvissuti ad abusi fisici, sessuali e psicologici, perché la forza del gruppo sta nel confronto e nel reciproco sostegno. Si pone poi come obiettivi a medio e lungo termine quelli di informare in modo capillare e preciso sui danni dell’abuso, proprio per uscire dalla dimensione culturale che rilega l’abuso ad un danno psicologico oppure morale, e portare a conoscenza dei danni fisici a lungo termine che l’abuso subito lascia nei survivor. Le vittime stesse hanno a volte bisogno di capire il motivo di quello che il loro corpo “ sente e vive” a distanza di tempo, hanno bisogno di confrontarsi tra loro, capire che c’è una spiegazione alla loro sofferenza.