Viene spontaneo a questo punto chiederci quanto eventuali esperienze traumatiche in età infantile possono condizionare il tipo di attaccamento e quanto, soprattutto, proprio il tipo di attaccamento, nelle sue molteplici sfaccettature, possa essere esso stesso un trauma?
Se considerassimo esclusivamente l’impatto oggettivo dell’evento traumatico, sarebbe possibile pensare che il senso di coerenza e di equilibrio del Sé non vengano intaccati in presenza di un attaccamento sicuro.
Invece bisogna sottolineare che il trauma stesso mette in gioco, alterandoli, gli schemi rappresentazionali delle relazioni interpersonali ed il senso di continuità e unicità connessi alla percezione del Sé e quindi supporre che un grave evento traumatico, possa interferire con lo sviluppo degli schemi di relazione che si stanno costruendo, anche se basati su un attaccamento sicuro, mettendo in discussine anche e soprattutto come il bambino percepirà se stesso.
Un bambino che vive un’esperienza traumatica precoce non è in grado, perché ancora non ha sviluppato determinate capacità cognitive, di collocare se stesso all’interno di quell’esperienza traumatica, di distinguere i suoi pensieri dalle sue emozioni e dal contesto. Di quell’esperienza traumatica memorizzerà parti, quelle dolorose, rielaborandole al meglio di quello che può fare e tutto sarà “governato” da imponenti meccanismi di difesa, istintivi, che metterà in atto per salvare se stesso.
Proviamo ad immaginare, adesso, se è proprio la relazione di attaccamento ad essere un vero e proprio trauma, cosa può avvenire
L’importanza della reciprocità all’interno delle relazioni primarie è ampiamente discussa in letteratura, e sono ampiamente studiati gli effetti della sua mancanza sullo sviluppo psichico dell’individuo (Bowlby, 1973; Deykin e Buka, 1997; Fraiberg, 1982; Osofski e Eberhart-Wright, 1988; Stern, 1985; Spitz, 1945; West e Sheldon-Keller, 1994 in Bowlby 1996).
Gli effetti della mancata sintonizzazione emotiva e della non “disponibilità” dei genitori (Emde, 1980; Tronick, 1989) costituiscono le condizioni traumatiche del malfunzionamento del sistema diadico: ovvero di quel sistema che si instaura all’interno di un rapporto, di una relazione tra due persone che interagiscono tra di loro.
Prendiamo ad esempio il caso di una bambino che cresca in una condizione di trascuratezza psicologica, e che questa condizione sia protratta nel tempo: questo implica che le aspettative che il bambino ha dalla sua figura di attaccamento vengano eluse e deluse.
Questa delusione immaginiamola come una “ferita” (trauma) che va a scalfire il sentimento di relazione reciproca e di corrispondenza che quel bambino sta imparando a conoscere e costruire.
La dissociazione rappresenta un meccanismo psichico fondamentalmente adattivo, utile a regolare gli stati emotivi intensi, traumatici, che rischiano di rendere vulnerabile il soggetto a causa di emozioni insostenibili ed eccessivamente dolorose. In questi casi il soggetto avverte la necessità di crearsi una realtà parallela, attraverso la ricerca di sensazioni alternative alla vita mentale e alla sensorialità che sperimenta nel suo stato ordinario di coscienza.
Rifacendosi alla teoria dell’attaccamento, Main, Morgan e Liotti hanno messo in relazione gli stati dissociativi con il comportamento di attaccamento infantile disorganizzato osservato nella Strange Situation, e con le pause nel monitoraggio del ragionamento o del discorso osservate negli adulti durante la discussione di esperienze traumatiche quale aspetto della Adult Attachment Interview (AAI).
Secondo questo modello teorico i bambini disorganizzati sono incapaci di sintetizzare la loro esperienza complessiva dell’interazione con il caregiver in una struttura di memoria coesa (Bowlby 1988).
Ciò significa che quello che hanno vissuto da bambini, la relazione che hanno instaurato con la loro figura di riferimento, sfuggiva alla loro comprensione, era poco funzionale, a volte fonte di sofferenza, a volte fonte di dubbi. Il modo quindi di instaurare relazione che è stato così appreso, risulta un puzzle con tanti pezzettini, alcuni al posto sbagliato, altri mancanti, altri scollegati, come qualcosa che, in definitiva, è stata memorizzato in maniera poco organizzato, che il bambino non sa raccontare e che da adulto potrebbe lasciarlo confuso.
Secondo Liotti (1999), l’attaccamento disorganizzato implica la propensione a stati alterati della coscienza, simili a una trance autoindotta o agli stati ipnoidi della psicopatologia classica, a cui corrispondono gli stati dissociativi e la dissociazione somatoforme.
Potremmo quindi dire che in alcuni casi quello che un attaccamento disorganizzato vissuto come trauma ha lasciato impresso nella memoria implicita del bambino è troppo grande per essere compreso, troppo perché lui possa attribuirgli delle parole che gli diano un senso, troppo perché i suoi meccanismi di difesa non prendano il sopravvento, lasciando quelle esperienza distaccate, frammentate, disorganizzate. Esperienze che lasciano una vera e propria “ferita” nel cervello (mente) che si sta sviluppando.
È Importante però chiarire che anche in presenza di esperienze di attaccamento non ottimali è possibile attraverso esperienze relazionali positive, ad esempio con un partner o con un terapeuta, raggiungere una maggiore sicurezza nell’attaccamento. Quindi il nostro stile di attaccamento non è necessariamente immutabile ma può in seguito a determinate esperienze passare da sicuro a insicuro o viceversa.
BIBLIOGRAFIA
Bowlby, J. (1988). A Secure Base. London: Routledge. Trad. it. Una base sicura. Milano: Raffaello Cortina, 1989.
Bowlby J. Una base sicura- applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento CORTINA EDITORE. Anno: 1996
Emde R. Emotional availability: A reciprocal reward system for infants and parents with implications for prevention of psychosocial disorders. In: Taylor PM, editor. Parent-infant relationships. Orlando, FL: Grune & Stratton; 1980. pp. 87–115
Liotti G., Farina B. Sviluppi Traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. RAFFAELLO CORTINA EDITORE. Anno 2011
Tronick E.Z. Emotions and emotional communication in infants. The American Psychologist. Feb;44(2):112-9.1989